Sono passati ormai ventidue anni da quella piccola meteora che risponde al nome di Four Minute Mile, ma i ragazzi di Kansas City sono qui ancora oggi nel 2019 per mostrare cosa sanno fare meglio: suonare il loro personalissimo indie-pop venato di emo e turbe adolescenziali, aggiornate però al presente chiassoso che la band sta vivendo.
Un discorso simile a quello fatto qualche tempo fa per gli American Football (lo potete leggere qui), ma in questo caso la musica è decisamente diversa. I The Get Up Kids, infatti, nel nuovo album Problems, giocano con il pop molto più che con il rock o con le partiture sghembe che ne hanno caratterizzato gli esordi più vicini alla scena emo ed alternative; fin dalla prima canzone, il singolone Satellite, questo aspetto è ben percepibile: chitarra acustica in sordina che pian piano lascia il posto ad una melodia vocale infallibile cui poi fa seguito tutta la band, che entra irruenta sulla scena. Sono presenti le reminiscenze di un passato malinconico, filtrate da un mood generale movimentato, ma plumbeo, però il brano è nel complesso un pezzo pop rock (o quasi pop punk) nostalgico e ben architettato, che Matt Pryor ha scritto basandosi sul carattere introverso del figlio quattordicenne. Sinceramente non mi aspettavo un’apertura simile, ma è innegabile il fatto che funzioni. E questo modus operandi influenzerà tutto il resto del disco, nel bene e nel male.
La seguente The Problem Is Me infatti, pur aggiungendo un lavoro di chitarra maggiormente articolato, segue le stesse direttive del brano precedente, con un altro ritornello infallibile e destinato ad essere cantato a squarciagola dal vivo. L’atmosfera del pezzo è gioiosa, malgrado il testo parli ancora una volta di argomenti spigolosi ed intimi. Sebbene la band sia nota per aver spesso criticato i propri emuli, in questi primi brani sembra farsi strada l’idea che le influenze dei Get Up Kids provengano perlopiù dalla contemporanea scena indie rock, andando a ricordare di volta in volta l’operato di band come Good Charlotte (Now Or Never) o Placebo (ascoltate la prima parte di Salina), senza peraltro impressionare più di tanto.
Il disco inizia a risultare più interessante a partire dalla dedica a Lou Barlow dei Dinosaur Jr. nel brano omonimo, che mette in effetti in risalto un bel lavoro di basso coadiuvato da chitarre convincenti e linee vocali sempre molto efficaci, ma stavolta decisamente più personali. Ma se c’è una dedica di questo tipo è perché i Dinosaur Jr. sono un’influenza importante nel sound attuale dei Get Up Kids e la seguente Fairweather Friends ne è la conferma, con tanto di assolo imbevuto di fuzz. Il brano è molto bello, però sembra effettivamente un pezzo che avrebbe potuto scrivere J Mascis nei primi anni ’90.
I controtempi di Common Ground ci fanno ricordare per un attimo il passato emo/math della band, ma il brano rimane comune nella media e non spicca mai il volo, mentre l’elettronica si palesa in tutto il suo splendore quasi chiptune in una Waking Up Alone che parte cattivella, poi spiazza con un intermezzo in francese che lascia veramente di stucco e personalmente distrugge il buono che si era creato fino a quel punto.
Un insieme di alti e bassi che non trova una vera e propria stabilità e che non aiuta l’ascoltatore ad orientarsi verso la direzione stilistica scelta dalla band, che oscilla tra il pop più mieloso e i riff di chitarra più rocciosi e punkeggianti, come nella bella (e stavolta per davvero) The Advocate. Anche Brakelines funziona bene, pur non emozionando troppo, ma fortunatamente ci pensa la finale Your Ghost Is Goney a chiudere il disco con la bellezza e l’intensità che ci si aspettava fin dall’inizio e lo fa nel modo più semplice che potesse esserci: costruendo una ballad spoglia, guidata dal pianoforte e dal glockenspiel, cui si aggiunge una chitarra delicata che alimenta un crescendo emozionale potente e sincero (sulla falsariga degli ultimi Enter Shikari). Un giusto bilanciamento tra le influenze della band, che con quest’ultimo brano dimostra la classe che ha ancora in serbo e che purtroppo in Problems si fa notare troppo poco.
In definitiva i The Get Up Kids con questo nuovo disco, che arriva a distanza di otto anni dall’ultimo full lenght, non riescono a convincere del tutto, presentando un lavoro abbastanza manieristico che si regge su un buon songwriting pop rock, ma che non emoziona né sorprende, lasciando l’ascoltatore abbastanza indifferente arrivato alla conclusione dell’album. I brani sono brevi e tutto sommato semplici e facilmente memorizzabili dopo un ascolto, se la band cercava l’immediatezza gli va dato atto di averla trovata, ma con la stessa facilità con la quale vengono canticchiati ci si scorda presto della loro presenza e della loro struttura.
Sarò che mi aspettavo molto da Problems, dal momento che nutro davvero un grande affetto per Matt Pryor e Jim Suptic, però sono rimasto deluso e mi dispiace molto. Il consiglio come sempre è quello di ascoltare il disco e farsi la propria opinione, perché se siete tra gli amanti dell’indie pop e del rock annacquato questo disco potrebbe farvi innamorare, ma stavolta non ho trovato pane per i miei denti. Che peccato.
Voto: 5,5/10

Distribuito da: Polyvinyl Records – Big Scary Monsters – Goodfellas
Data di uscita: 10/05/19
Dove potete ascoltare/acquistare il disco: Polyvinyl Records – Bandcamp – Youtube