Cosa succede quando i nomi che leggete qui sopra si uniscono per creare un disco? Succede che ne viene fuori un lavoro indescrivibile e stratosferico!
Quando lessi verso metà marzo dell’annuncio di quest’album rimasi veramente colpito dal solo immaginarmi come avrebbero potuto reagire musicalmente in un contesto comune alcuni tra i miei personali idoli di sempre come Lee Ranaldo (Sonic Youth) e il regista Jim Jarmusch – tra i suoi capolavori da me più amati Dead Man (1995) e Solo gli amanti sopravvivono (2013) – , accompagnati dal batterista Balázs Pándi (Merzbow, Keiji Haino, Venetian Snares) e dal produttore Marc Urselli (Nick Cave, Mike Patton, John Zorn), il quale per primo ha avuto l’idea di imbastire il concept dietro questa operazione artistica che porta i cognomi dei musicisti coinvolti, sullo sfondo di un imponente aurora boreale, stagliata su un cielo stellato. Una copertina magnifica, di quelle che si vedono sempre meno spesso (di recente solo l’artwork di The Night Siren (2017) di Steve Hackett si è posto su livelli quasi interessanti quanto questo) e che perciò merita di essere ammirata.

Dicevamo che l’idea alla base di questo progetto è stata di Marc Urselli, che ha voluto unire per un’unica notte le menti dei musicisti sopra citati poiché rispondenti ad un’unica condizione: quella di non essersi mai visti prima, né aver mai collaborato insieme. Il fine era quello di lasciare che la musica fluisse spontaneamente dai singoli soggetti, che si sono ritrovati a creare delle sessioni di improvvisazione senza alcuna direttiva, accolti solamente dalla fioca luce degli EastSide Sound Studios di proprietà dello stesso Urselli, situati nel centro di New York, città simbolo di un determinato modo di concepire la musica e lo stile, che appartiene tanto a Ranaldo, quanto a Jarmusch tra tutti, e di fatto il disco di questo bizzarro quartetto ha dei tratti che lo ricollegano al suono no wave della NY degli anni ’70. Ma sarebbe molto limitante fermarci solo a questo aspetto.
Infatti dall’unione tra la chitarra, i pedali e le campane di Ranaldo, le chitarre aggiuntive, gli effetti e i synth di Jarmusch, il basso e l’elettronica di Urselli e la batteria sghemba ed atmosferica di Pándi, è nato un lavoro che fa dell’estetica applicata al suono il proprio manifesto. Questo aspetto che andremo poi descrivere meglio, è sottolineato anche dalla volontà di Urselli di offrire all’ascoltatore il disco nella maniera più cruda e calda possibile: zero sovraincisioni, zero editing e zero ritocchi in post produzione; quello che esce dalle casse è una pura e semplice lezione di classe sonora a cura di quattro menti geniali che si sono esibite mostrandosi in tutta la propria intimità, senza paura di commettere errori o sbagliare gli attacchi e le chiusure, registrati in presa diretta e completamente in analogico dall’abile Urselli. Tutta la complessa architettura sonora messa in piedi dai quattro scorre nel modo più libero e naturale possibile, in un’anarchica spontaneità libera da ogni tipo di compromesso, che lega Lee Ranaldo/Jim Jarmusch/Marc Urselli/Balazs Pandi alle esperienze avanguardistiche più colte del Novecento.
Arriviamo quindi a parlare più nello specifico dei brani derivati dall’unica sessione di registrazione che è stata effettuata dal quartetto nel corso di un’unica lunga notte, che ci è ora consegnata sotto forma di cd o di vinile (caldamente consigliato), con ben cinque composizioni di media/lunga durata, che vanno dai cinque minuti di Haar, fino ai quasi venti di Groa. C’è da specificare che i due brani più lunghi in scaletta sono disponibili solo sui supporti fisici, dal momento che il disco nella sua versione digitale ne contiene solamente tre, come era stato concepito inizialmente.
L’introduzione dell’opera spetta ad Andvari, che coi suoi nove minuti riesce a far immergere l’ascoltatore nelle atmosfere eteree dell’intero platter nella maniera più convincente possibile: leggerissimi bordoni sintetici riempiono una scena scarna e fragile, sulla quale spiccano le rasoiate elettriche di Ranaldo, ormai ben riconoscibili e che non potranno non fare emozionare più di un amante del bel noise che fu. E certamente il noise è una componente importante del brano, così come dell’intero disco, ma sarebbe sbagliato pensare di essere davanti ad un disco (solamente) noise, dal momento che, a mio parere, è l’ambient il genere di riferimento dei quattro musicisti, sicuramente inteso nella maniera più avantgarde possibile, ma sempre rimanendo nei confini di questo genere di proposta. Ciò è confermato anche da un lavoro di batteria che non si rivela mai invadente, anzi esattamente l’opposto: le percussioni entrano solamente in punti specifici, lasciando maggior spazio ai piatti, che grazie a lunghi riverberi donano spessore e corpo al bordone di fondo del brano.
In Bergelmir la componente noise/drone si fa leggermente più presente, grazie anche al continuo alternarsi tra forte e piano degli strumenti, che con pochissimi suoni – di note nel vero senso del termine ne sentiremo ben poche – riescono a trasmettere un intero mondo di sensazioni. Ancora fondamentale il lavoro svolto dai riverberi, così come dagli effetti applicati alle chitarre, le quali diventano veri e propri intonarumori al servizio dei piatti e delle percussioni di Pándi, che qui mostra tutto il proprio estro compositivo.

Già dopo questi due brani possiamo trarre le prime conclusioni sul disco: la musica prodotta dai quattro ha un forte impatto atmosferico, valorizzato dai pochi suoni messi in campo e ancor di più dalla registrazione analogica, che dona calore e incredibile profondità al prodotto finale; in più la copertina riesce a descrivere esattamente la sensazione maggiore trasmessa da questo genere di composizioni: è una sorta di musica delle stelle, o ancor meglio, delle costellazioni e dei pianeti. Lenta, meditativa, quasi spirituale a tratti, eppure al contempo estremamente terrena e materiale, capace di unire un mondo iperuranico e spaziale, ignoto e imprevedibile, alla freddezza sonica delle macchine che generano suoni e rumori propri del mondo terreno e meccanico.
Questo ossimoro tra poesia e crudeltà, così come tra cielo e terra o tra spiritualità e materialismo, è per me ben rappresentato dalla lunga Groa, una sorta di A Saucerful Of Secrets in salsa noise, non più legata alla psichedelia, bensì ad un mondo industriale e freddo (rappresentato dai continui suoni squillanti dei synth), che vive però gomito a gomito con una dimensione celestiale e trascendentale, che spinge alla meditazione (le campane orientali di Ranaldo, che si rifanno alle celebrazioni buddhiste) e alla rinascita dello spirito. Il brano si evolve lentamente durante il suo lungo svolgimento, riuscendo a condensare il meglio delle idee dei musicisti in un crescendo emozionale che va oltre la semplice musica suonata, ma sfocia in un mondo interiore ben più profondo. Un capolavoro moderno inclassificabile.
Contraltare di questo brano è la seguente Gulltoppr, il brano più “melodico” del lotto, dove anche la batteria si muove in modo più canonico, con reminiscenze jazz e quasi rock, mentre le chitarre non costruiscono solo bordoni, ma disegnano flebili melodie arpeggiate destinate a perdersi tra le stelle, prima di essere inghiottite da un vortice spaziale di pinkfloydiana memoria, che fa prendere un’altra piega, decisamente più minacciosa, al brano. Tribalismi percussivi ed elettronica più accentuata diventano protagonisti della seconda parte del pezzo, che si trascina inquietante fino ad un finale da soundtrack horror.
Se avete notato, i titoli dei brani sono in norvegese e questo perché al momento di scattare le foto promozionali per il disco, a cura di William Semeraro – responsabile di tutte le grafiche dell’album, inclusa la copertina – i quattro musicisti si trovavano in Norvegia (ecco spiegata anche la scelta di una così caratteristica aurora boreale in copertina). I titoli si rifanno quindi alla mitologia norrena e più precisamente all’Edda in prosa di Snorri Sturluson (1220 ca.), associando ad ogni personaggio menzionato un relativo brano in scaletta: così Andvari è uno dei nani creati all’inizio del tempo e vive nel sottosuolo, Bergelmir è l’unico superstite dal massacro dei giganti di brina causato dai figli di Borr, ovvero Odino, Víli e Vé, Groa è un personaggio polivalente, ma spesso nominato sotto forma di strega cultrice della arti magiche sciamaniche, infine Gulltoppr è il cavallo dorato di Heimdallr.
Musicalmente il nesso tra le composizioni e la mitologia norrena non è così tanto percepibile anzi, ma è sempre una buona cosa sapere da dove derivino i titoli e i temi dei brani che si stanno ascoltando.

A chiudere il disco ci pensa quindi la breve Haar, che culla l’ascoltatore con le sue atmosfere cosmiche vicine tanto ai Tangerine Dream quanto all’immaginario di 2001: Odissea nello spazio. Il suono nella sua essenza più spoglia e naturale qui viene esaltato al massimo del proprio potenziale, riuscendo, ancora una volta grazie alle scelte in fase di registrazione di Urselli, a sprigionare una profondità tale da stordire l’ascoltatore, personalmente risultando addirittura terapeutica. Provare l’ascolto in cuffia per credere.
Un’esperienza che chiude nella maniera più enfatica e sentita il disco e che quando arriva alla conclusione lascia l’ascoltatore più arricchito, ma al contempo anche svuotato, tanta è la carica emozionale e il coinvolgimento fisico/mentale provocati da questa oretta scarsa di musica. Si percepisce la fatica provata durante l’intera esperienza quando il disco volge al termine, così come si percepiscono le onde sonore che rimangono impresse nella mente e nel corpo una volta terminato l’ascolto. Un qualcosa di così complesso e per me intimo, che non ho altro modo per riuscire a spiegarlo. Dal momento che questa esperienza mi ha coinvolto in modo così profondo e personale il parlarne in senso compiuto mi risulta veramente arduo. Posso solo consigliarvi caldamente l’ascolto di Lee Ranaldo/Jim Jarmusch/Marc Urselli/Balazs Pandi: fatelo vostro e lasciate che vi scorra dentro senza alcuna barriera, solamente così questa musica riuscirà a sprigionare tutto il proprio potenziale. E non potrete più farne a meno.
Voto: 9,5/10

Distribuito da: Trost Records
Data di uscita: 10/05/19
Lee Ranaldo/Jim Jarmusch/Marc Urselli/Balázs Pándi
Dove potete ascoltare/acquistare il disco: Trost Records – Bandcamp – Youtube